I SABINI
La Sabina prende il nome dal popolo che da millenni la abita, i Sabini appunto. Originariamente il territorio che era occupato da questo popolo poteva essere compreso tra le: valli dell’alto Appennino, lungo il fiume Aternum, presso Amiternum, donde col tempo, dopo aver attraversato il Velino, occuparono la valle Reatina e scesero fino alla confluenza dell’Aniene col Tevere" (cfr. G. Tomassetti - G. Biasiotti, La diocesi di sabina , Roma, p. 5. ). I sabini si spinsero ad occupare quei territori che possono essere compresi sotto la denominazione di Sabelli e al sud penetrarono tra i Latini (il popolo latino trovò la sua origine nell'unione dei Troiani di Enea con gli Aborigeni (il nome significa il popolo originale) che erano i più antichi abitanti del Lazio e che provenivano a loro volta dall'Egitto. Cfr. A. M. Parassiti, Dizionario di mitologia greca e romana, Genova 1996, p. 2. ), gli Equi e i Volsci. Nonostante le molteplici emigrazioni, i sabini conservarono alcuni tratti che caratterizzavano e distinguevano questo popolo; è per questo che i Sabini vennero chiamati da Cicerone "fortissimos viros" ( Lig. II , 32. ) razza forte. Virgilio nota nei Sabini la semplicità della vita campestre congiunta con un profondo sentimento religioso e come tali non v’è dubbio che i Sabini usassero il Ver Sacrum (Ver Sacrum: primavera sacra. Genere di sacrificio assai comune tra gli antichi, i quali erano soliti votare ad una divinità, in tempo di sventure e di pericoli, il sacrificio di tutte le cose che fossero nate nella primavera prossima, cioè tra il 1 di marzo e l'ultimo di aprile, affinché venisse rimossa la calamità o il pericolo. Originariamente si usava di animali e vite umane
"più tardi, al sacrificio di vittime umane fu sostituita la emigrazione dei nati nella primavera consacrata, quando essi avessero raggiunto l'età di 20-21 anni. Anche i Romani praticarono tale abitudine e sembra che l'origine di Roma sia da attribuirsi ad un Ver Sacrum . In due occasioni i Romani votarono il Ver Sacrum : dopo la battaglia del Trasimeno ( 217 a .C.) e alla fine della II guerra punica; il sacrificio fu, però, di soli animali domestici". N. Venanzi, Sabina. Raccolta antologica di brani storici, geografici, artistici, folkloristici relativi alla sabina, Rieti 1977, p. 13. cfr. anche G. Tomassetti - G. Biasiotti, La diocesi di sabina , op. cit., p. 6.
Marrone reatino, il grande erudito del I sec. a.C. paragonò queste primavere a sciami di api abbandonanti il vecchio alveare, che sicuramente dette origine alle espansioni coloniali del popolo Sabino. In tali migrazioni, spesso un segno del divino (in genere un animale) poteva indicare la strada
(secondo la tradizione "l'eroe Pico (il picchio verde, uccello fatidico dei Sabini) fu padre di Fauno-Fauna, da cui fu generato Latino; ciò vuol dire che gli oracoli del picchio hanno guidato verso il Lazio le migranti colonie sabine. Questo Pico, venerato anche sotto il nome di Picumno, presso i sabini era armato di asta o picca". N. vicari, Cures, madre e maestra di Roma, Roma 1978, p. 19. ).
Tra le più importanti e note città fondate lungo questo peregrinare troviamo: Amiternum, Reate, Nursia, Cutiliae, Cures, Tremula Mutuesca, Eretum, Crustumerium, Caenina. Anche l’occupazione dei territori di Roma avvenne per opera dei pastori Sabini in un Ver Sacrum (Cfr. G. Michelet, Storia di Roma, p. 109. ). Parlare di città per i Sabini dei tempi pre-romani significava vivere in luoghi con più persone, infatti essi, vivevano sparsi in villaggi, i più importanti dei quali avevano un re e un senato, assurgendo ad importanza di città.
"Nel territorio dei Sabini, benché molto popolato, vi erano poche città agglomerate, vivendo per lo più i suddetti in città sparse, formate da villaggi disseminati nella campagna, in modo che la proprietà rustica era equivalente a quella urbana, che si è continuato sino ai nostri tempi e che forse diede origine a quella nota espressione: Tota Sabina Civitas ". G. Tomassetti - G. Biasiotti, La diocesi di sabina, op. cit., p. 8.
Nei casi di grave pericolo, le varie città sabine mandavano delegazioni a Cures (la Capitale), dove si teneva l’assemblea collegiale e si prendevano decisioni comuni delegando tutto il potere al re di Cures che diventava il solo capo (dux) delle genti sabine (sembra che la spedizione contro Roma per vendicare il ratto delle sabine sia partita proprio da Cures capeggiata da Tito Tazio ).