CURES LA CAPITALE DEI SABINI
Non è possibile ricostruire nella sua struttura completa la storia dei Sabini del Lazio, sia perché di questo popolo non rimane alcun testo, sia perché i Sabini dei tempi pre-romani vivevano sparsi in villaggi. Quel che si può affermare con certezza è che questo popolo aveva come capitale Cures, che per la sua posizione gravitante verso Roma, godeva notevole importanza come centro politico ("Curis nunc viculus est, quondam urbs illustris" stradone 66 a.C.-24 d.C.). Fondatore di Cures, fu Modius Fabidius, che veniva considerato Figlio del dio Quirino (Marte romano) principale divinità della cosmogonia sabina (una statua del dio Quirino era posizionata al centro ci Cures). Il suo nome (Cures) indica il simbolo del dio Quirino: l’asta (quindi gli abitanti sono gli astati). Circa l’ubicazione di Cures, si ritenne per lungo tempo che essa sorgesse nel luogo dove è Torri o Foronovo; altri ritennero che Cures doveva porsi dove si osservano gli avanzi di mura ciclopiche nei pressi delle Grotte di Torri, a noi sembra più logico concordare con gli studiosi che localizzano la città sul colle dei Pozzaroli non lontano da Corese Terra (L. Canina, Esosizione storica della campagna romana antica nelle due prime epoche anteromana e reale, Roma 1939, p. 90; "Curi individuata non nel luogo dell’Arci, ma più verso Corese, praticamente sul colle dei pozzaroli" Ibidem, p. 90.)
Nei primi secoli Cures fu Municipio (nell’antichità Municipio significava città annessa a Roma, ma che conservava la propria autonomia amministrativa) e nel V secolo fu Sede vescovile. I vescovi di questa diocesi sabina (Episcopi Curienses) furono: Tiberius 465, Felicissimus 487, Dulcitius 499, Iulianus 540 e Pelagio I papa 558.
Pelagio I nacque a Roma dalla famiglia Vicariani, figlio di Giovanni. Sotto il pontificato di Agapito, Liberio e di Virgilio era stato Nunzio Apostolico per comporre le relazioni tra la Chiesa e l’imperatore Giustiniano. Avendo patteggiato per il Papa Virgilio, ed essendosi molto adoperato per l’annullamento dei tre capitoli del concilio di Calcedonia, i Vescovi si rifiutarono d’intervenire alla cerimonia della sua consacrazione. Vi aderirono soltanto i Vescovi Giovanni di Perugia e Bono di Ferentino, ed in sostituzione del terzo Vescovo intervenne Andrea, Arciprete di Ostia. Confermò il Concilio di Costantinopoli, tenuto da Papa Virgilio, ed indusse i vescovi di Illiria, d’Italia e dell’Africa ad accettarlo. Ai suoi tempi Roma contava cinquantamila abitanti e nell’intorno della città vi erano campi sterminati seminativi e da pascolo. Riorganizzò l’amministrazione temporale del Dominio Pontificio, che a quel tempo possedeva il padrimonio delle Puglie e di Sicilia. Siccome il popolo credeva che in un noce presso la tomba di Nerone sul declivio del Pincio annidasse lo spirito del crudele imperatore, fece i dovuti esorcismi e fece gettare nel Tevere il sepolcro. Sul luogo fece edificare la Chiesa di S. Maria del Popolo. Morì nel 560 e fu sepolto nelle grotte Vati-cane. Alla sua morte vennero in Italia i Longobardi di fede Ariana. Fu Pontefice 4 anni, 10 mesi, 18 giorni
A.D'Amelia, I castelli di Catino e di Poggio Catino in Sabina e altri castelli Sabini, Cantagalli, Siena 1986.
Nel febbraio del 593, S. Gregorio Magno, scriveva al vescovo nomentano Grazioso notificando la volontà di unire definitivamente alla Sede di Nomentum la Ecclesiam S. Anthimi in Curium Sabinorum territorio fino all’anno 964, quando Foronovo, Curi e Nomentum si fusero con Vescovio. Molto spesso per indicare il vescovo curense, si usava l’appellativo Episcopus S. Anthimi (nel primo Concilio Romano del 499, Dulcitius si era sottoscritto Episcopus Sabinansis). Il primo ad usare questo appellativo, fu proprio il vescovo di Cures, Dulcitius, che nel secondo Concilio Romano tenuto da Papa Simmaco nel 501 si era sottoscritto Episcopus S. Anthimo; sottoscrivendosi in questo modo, Dulcitius consacrava questa sede vescovile a S. Antimo (Antimo, era un prete che svolse il suo apostolato in sabina e fu decollato al XXII miglio della via Salaria e sepolto in un luogo dove, di solito, si ritirava a pregare; tutto questo si può ritorvare in una composizione agiografica, intitolata appunto Acta S. Anthimi presbyteri et sociorum martyrum, dove si racconta di sette martiri, che, da Roma trasportati in Sabina e nel Piceno, sarebbero stati barbaramente uccisi), un martire locale.
Nel 409 d.C. i Goti di Alarico mutilarono Cures, dopo aver devastato tutte le città della sabina romana; ma fu soltanto nel 595 d.C., Agilulfo, devastò ogni cosa. A tal proposito san Gregorio Magno scriveva:
"gli uomini, come mietuti da falce perirono da per tutto.le città vennero spopolate, le castella distrutte, le chiese incendiate, i conventi di uomini e donne rasi al suolo. I campi si ridussero in deserto […]. Dove prima era calca di gente, oggi abitano in solitudine le fiere". S. Ggregorio Magno, Homil., 6, lib. 2.
A seguito delle varie invasioni barbariche, Cures venne letteralmente rasa al suolo e la povera gente rimasta cercò di ricostruire in luoghi più protetti e più sicuri. Intorno al mille vennero costruiti, nella terra di Cures vari castelli tra cui il castello di Correse 1006 e quello di Comunanza (Questo castello fu distrutto per ordine di Papa Bonifacio VIII nel 1297, quando si scontro con la famiglia Colonna proprietaria di questo e di altri castelli. Lo stesso papa, il 10 settembre 1300 da Anagni, concesse il feudo a Francesco Orsini, con il patto che il castello non fosse più ricostruito. Tutt’oggi si possono ammirare i resti chiaramente visibili, sulla strada dell’Arci, un chilometro da Corese Terra.)